Un nuovo Orizzonte per lavorare su di noi

Nessuna descrizione della foto disponibile.La cucina, il cibo, la tavola… per molti sono nomi, momenti del quotidiano, attimi di vita… per altri sono degli impegni che assorbono delle energie e muovono delle emozioni, non sempre piacevoli.

Ma cosa rende diverso il mangiare dal nutrirsi? Quali sono gli aspetti sui quali possiamo portare le nostre attenzioni per migliorare il nostro rapporto con la tavola?

Cosa mi ha spinto a dedicare parte del ricavato del libro “Il Cibo come via, gli Archetipi come guida” all’Associazione Orizzonte ODV? Mangiare con i ragazzi. Il momento dei pasti, che siano merende o pranzi è sempre molto delicato quando lavori con la disabilità.

Per tanti dei nostri ragazzi il cibo è gratificazione, un momento emozionale, un rinforzo, un mezzo per entrare in comunicazione. Quando al mattino si arriva, per molti, la prima domanda si riferisce al cibo: “facciamo merenda?” “prepariamo il mammellone (ciambellone)?” “a pranzo mangiamo gli gnocchi?”

…ed ecco che, imparando ad accogliere questo modo di comunicare, attraverso queste domande si avviano delle conversazioni, degli scambi, delle condivisioni… si conoscono le preferenze, i gusti, le abitudini, le difficoltà… e si acquisiscono delle informazioni fondamentali per interagire in modo efficace e per ottenere l’attenzione, la concentrazione, l’impegno, il raggiungimento degli obiettivi.

In associazione, attraverso l’organizzazione dei laboratori di cucina, seppur per preparare delle semplici merende, i ragazzi si lasciano coinvolgere e sperimentano nuove abilità manuali, motorie, attentive, cognitive. Immaginate la potenza “energetica” che per ognuno di noi ha l’impastare acqua e farina per fare la pizza. Assistere alla lievitazione, vedere qualcosa che ti cresce davanti, si trasforma, cambia il profumo, la sua consistenza… e dà origine a qualcosa di diverso, di croccante, di friabile, di appagante per i sensi, per il corpo e le emozioni. …ed ora… provate ad immaginare quanto possa essere un mezzo per lavorare su noi stessi “fare la pizza”: fare una scelta nel metodo produttivo che desideriamo seguire, nelle farine che vogliamo utilizzare, nel lievito da impiegare… e poi nel condimento, nella varietà dei formaggi, nelle dosi degli ingredienti… Ogni passaggio, nonostante possa sembrare scontato, implica un processo decisionale, un ascoltare il proprio sentire, una gestione delle quantità, delle emozioni.

Quando iniziai a lavorare sulla scrittura de “Il Cibo come via, gli Archetipi come guida” insieme a Franca Errani, si era da poco concluso il primo lockdown, quello più rigido, durante il quale tutta la nazione si era dovuta fermare. In quel tempo, che oggi ripensandoci sembra essere stato un secolo fa…, quando tutto venne chiuso, chiamai Michelina Mattoscio, la Presidente, e le chiesi in che modo l’associazione si stava muovendo e come potevo essere loro di aiuto. I ragazzi erano a casa, le famiglie in forte difficoltà, gli operatori e i volontari erano sommersi da richieste… Attivammo un servizio di sostegno a distanza: due volte al giorno, divisi in gruppi, organizzavamo attività laboratoriali: disegni, lettura ad alta voce, teatro, recitazione, cruciverba, il gioco dell’impiccato… e piano piano, così facendo, ripristinammo le routine giornaliere, le piccole buone abitudini.

Tra le varie abitudini sulle quali noi operatori cercavamo di portare l’attenzione per verificare che venissero svolte in autonomia, correttamente… una che sollevava particolarmente interesse in ogni videochiamata, era quella per il momento dei pasti.

Può sembrare banale: tutta l’Italia in quei giorni non faceva altro che parlare di cibo, perché mi stupivo che lo facessero anche dei ragazzi diversamente abili? Perché quell’argomento non soltanto era trasversale, coinvolgente per tutti… ma perché era una via per parlare di tanto altro, per raccontare di momenti familiari, di ricette, di disagi e di difficoltà…

Nonostante fossi consapevole dell’enorme potere che il cibo e il mangiare ha sulle persone, era come se in quel momento mi fosse arrivata la conferma. Ed ecco che parlare dei propri pranzi, di come si era fatta la colazione, dell’orario della merenda… era un modo per me, per leggere un equilibrio, un disagio, un benessere, una complicità.

Tornati in presenza con attenzione e cautela il centro ricominciò le sue attività. Compresa la mensa. Si apparecchiava, si mangiava insieme, si sistemava la cucina subito dopo… e talvolta, con 2-3 ragazzi si preparava la merenda per gli altri.

Attraverso il cibo si poteva comunicare, entrare nel mondo dell’altro, magari di un ragazzo autistico. Si dice tecnicamente che il cibo sia un “rinforzo” per premiare o punire in risposta a dei comportamenti funzionali o meno. Io dico che in alcuni casi è proprio la traduzione di un messaggio.

La gestione del cibo è la gestione delle emozioni e viceversa. E se mangiare è la risposta ad uno degli istinti primari che l’uomo ha, la gestione del cibo con la disabilità ti porta a fare i conti con quegli istinti che noi tanto spesso allontaniamo ma che loro ci mettono davanti. Nudi e crudi. È un’arma a doppio taglio. Un modo di potersi relazionare, un terreno comune sul quale dialogare pieno di insidie e dove, ancora una volta, ancora di più, è necessario saper ascoltare. Sé stessi e l’altro.

Quando iniziai a scrivere questo libro che parla di cibo, ma anche e soprattutto di noi e del nostro mondo relazionale pensai ai ragazzi dell’Associazione Orizzonte ODV: pensai a loro e alla loro dote innata di saper mettere le mani in pasta sempre, anche per fare pasticci… alla loro capacità di sapersi sporcare, mettere in gioco, di ridere, di emozionarsi… e decisi che una parte, seppur piccola, di questo progetto sarebbe andata a loro.

Per ogni libro venduto, 1€ sarà devoluto in un progetto solidale a sostegno dell’Associazione Orizzonte ODV (www.associazioneorizzonte.it)